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compagnia di Carla, che gli sedeva a lato e che mi sembrò graziosa, più adulta,
appena appena ingrassata, non bella. Entrambi mi apparvero come su uno schermo
televisivo, attori noti che interpretavano in una qualche soap opera una porzione della
mia vita. Mario soprattutto mi sembrò un estraneo che aveva casualmente i tratti
labili di una persona che mi era stata molto familiare. Si era pettinato in modo da
rivelare una fronte grande, ben delimitata dai capelli folti e dalle sopracciglia. Il viso
gli si era asciugato e le linee marcate del naso, della bocca, degli zigomi tracciavano
un disegno più gradevole di come me lo ricordavo. Mostrava dieci anni di meno, gli
era sparita la pesante tumefazione dei fianchi, del petto, del ventre, pareva persino più
alto.
Avvertii una sorta di tocco lieve ma deciso al centro della fronte e mi sentii le mani
sudate. Ma l'emozione fu sorprendentemente piacevole, come quando sono un libro o
un film a farci soffrire, non la vita. Dissi con voce tranquilla all'impiegata, che era
mia amica:
«Qualche difficoltà con i signori?».
Sia Carla che Mario si girarono di scatto. Carla addirittura balzò in piedi, visibilmente
spaventata. Mario invece restò seduto ma si toccò il naso tormentandosi con pollice e
indice il setto nasale per qualche secondo, come faceva sempre quando qualcosa lo
turbava. Io dissi con esibita allegria:
«Sono molto contenta di vedervi».
Mi mossi verso di lui, e Carla meccanicamente allungò una mano per tirarselo
accanto, proteggerlo. Mio marito si alzò incerto, era chiaro che non sapeva cosa
aspettarsi. Gli tesi la mano, ci baciammo sulle guance.
«Vi trovo molto bene» seguitai, e strinsi anche la mano di Carla che non ricambiò la
stretta, anzi mi diede certe dita e un palmo che mi sembrarono di carne umida, appena
scongelata.
«Anche tu stai bene» disse Mario con tono perplesso.
«Sì» risposi con orgoglio, «non provo più dolore».
«Volevo telefonarti per parlare dei bambini».
«Il numero è sempre lo stesso».
«Dovremmo discutere anche della separazione».
«Quando vuoi».
Non sapendo che altro dire, si ficcò le mani nelle tasche del cappotto nervosamente e
mi chiese con tono svagato se c'erano novità. Risposi:
«Poche. I bambini te l'avranno detto: sono stata male, Otto è morto».
«Morto?» sussultò.
Come sono misteriosi i bambini. Gliel'avevano taciuto, forse per non dargli un
dispiacere, forse nella convinzione che niente che appartenesse alla vecchia vita
potesse ancora interessarlo.
«Avvelenato» gli dissi e lui chiese con rabbia:
«Chi è stato?».
«Tu» gli risposi tranquillamente.
«Io?».
«Sì. Ho scoperto che sei un uomo sgarbato. La gente risponde agli sgarbi con
malvagità».
Mi guardo per capire se il clima amichevole stava già per modificarsi, se avevo
intenzione di ricominciare a fare scenate. Cercai di rassicurarlo prendendo un tono
distaccato:
«O forse c'era solo bisogno di un capro espiatorio. Ma poiché io mi sono sottratta, è
toccata a Otto».
A quel punto mi scappò un gesto irriflesso, gli cacciai via qualche scaglia di forfora
dalla giacca, era un'abitudine degli anni passati. Lui si ritrasse, quasi balzò indietro, io
dissi scusa, Carla intervenne per completare con più cura l'opera che avevo subito
interrotto.
Ci salutammo dopo che lui mi assicurò che avrebbe telefonato per fissare un
appuntamento.
«Se vuoi venire anche tu» proposi a Carla.
Mario disse secco, senza nemmeno consultarla con lo sguardo:
«No».
45.
Due giorni dopo venne a casa carico di regali. Gianni e Ilaria, contrariamente alle mie
aspettative, lo salutarono abbastanza ritualmente, senza entusiasmo, evidentemente la
consuetudine del fine settimana gli aveva restituito la normalità di padre. Si misero
subito a scartocciare i doni, li trovarono di loro gradimento, Mario cercò di
intromettersi, di giocare con loro, ma svogliatamente. Alla fine girellò un po' per la
stanza, toccò qualche oggetto con la punta delle dita, guardò dalla finestra. Gli chiesi:
«Vuoi un caffè?».
Accettò subito, mi seguì in cucina. Chiacchierammo dei bambini, gli dissi che
stavano attraversando un brutto periodo, cadde dalle nuvole, mi assicurò che con lui
erano buoni, molto disciplinati. A un certo punto tirò fuori penna e carta, stese un
programma cavilloso dei giorni in cui lui si sarebbe dedicato a loro, di quelli in cui mi
ci sarei dedicata io, disse che vederli meccanicamente ogni fine settimana era
sbagliato.
«Spero che ti basti il mensile che ti sto versando» sottolineò a un certo punto.
«Va bene» dissi, «sei generoso».
«Mi occupo io della separazione».
Gli chiarii:
«Se scopro che i bambini li molli a Carla e ti metti a sbrigare le tue faccende di
lavoro senza curarti di loro, non li vedrai più».
Fece l'aria impacciata e fissò il foglio, incerto.
«Non devi preoccuparti, Carla ha molte qualità» disse.
«Non ne dubito, ma preferisco che Ilaria non impari a fare gnegnè come fa lei. E non
voglio che Gianni desideri di metterle le mani in petto come fai tu».
Abbandonò la penna sul tavolo, disse desolato: [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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