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circostante e dei pochi arabeschi che potevamo distinguere sulle mura aveva un potere suggestivo e
inquietante a cui non potevamo sfuggire, e a livello inconscio ci dava la misteriosa certezza di ciò
che dovevano essere state le entità primigenie che avevano costruito e abitato quel luogo maledetto.
Ma il nostro animo scientifico e avventuroso non era morto, e portammo avanti meccanicamente
il programma che consisteva nel prelevare esemplari da tutti i tipi di pietra di cui erano fatti gli edi-
fici. Ce ne occorreva un buon numero per determinare l'età del luogo. Nessun componente delle
grandi mura esterne sembrava più tardo del Giurassico e del Comanciano, e in tutta la città non c'era
una sola pietra più recente del Pliocene. Era praticamente certo che ci stavamo aggirando in un luo-
go dove la morte regnava da almeno mezzo milione di anni, probabilmente di più.
Procedendo nel labirinto di pietra e ombre ci fermammo davanti a tutte le aperture disponibili
per indagare l'interno e stabilire dove potessimo entrare. Alcune erano troppo alte, altre immetteva-
no in rovine soffocate dal ghiaccio come quella che avevamo trovato sull'altura, senza tetto e deso-
late. Un'apertura, benché spaziosa e invitante, dava su un abisso senza fondo in cui non esistevano
mezzi di discesa. Di tanto in tanto avevamo la possibilità di osservare il legno pietrificato di un'im-
posta che si era salvata, ed eravamo impressionati dalla favolosa antichità che si poteva dedurre dal-
la fibra. I materiali provenivano da gimnosperme e conifere del Mesozoico (in particolare cicadee
del Cretaceo) e dalle palme a ventaglio o altre antiche angiosperme del Terziario. Non trovammo
niente che fosse più recente del Pliocene. La tecnica adoperata per montare le imposte (i cui bordi
rivelavano la presenza di bizzarri cardini ormai spariti da moltissimo tempo) sembrava variare: al-
cune si trovavano sul lato esterno, altre su quello interno delle profonde aperture. Erano rimaste in-
cuneate al loro posto, e in questo modo erano sopravvissute all'arrugginimento dei cardini o delle
altre parti metalliche che un tempo le avevano sorrette.
Dopo un certo tempo vedemmo una serie di finestre che si aprivano lungo le sporgenze di un gi-
gantesco cono dal vertice intatto e solcato da cinque costoni; le finestre davano su una grande stan-
za perfettamente conservata dal pavimento di pietra, ma si trovavano a un'altezza eccessiva per
permetterci di raggiungerlo senza una corda. Ne avevamo una, ma a meno di non esservi costretti
avremmo evitato volentieri un salto di sette o otto metri: l'aria rarefatta dell'altipiano richiedeva un
notevole sforzo cardiaco anche per le azioni più semplici. L'enorme locale doveva essere una sala o
un luogo di riunione, e le torce elettriche rivelarono una serie di vivide e forse eccezionali sculture
che correvano lungo le pareti in ampie fasce orizzontali, separate da strisce di uguale larghezza co-
perte da arabeschi più convenzionali Prendemmo accuratamente nota del luogo, decidendo che a
meno di non trovare un ingresso più facile ci saremmo calati con la fune.
Finalmente, col tempo, trovammo l'apertura che desideravamo: un arco largo più di due metri e
alto tre metri e mezzo che costituiva l'antica estremità di un ponte aereo il quale correva su un vico-
lo a circa un metro e settanta sopra l'attuale strato di ghiaccio. Ovviamente gli sbocchi dei corridoi
aerei si trovavano al livello dei piani superiori, e in questo caso il piano corrispondente esisteva an-
cora. L'edificio a cui avremmo potuto accedere era costituito da una serie di terrazze rettangolari al-
la nostra sinistra, rivolto a occidente. Al di là del vicolo, dove si apriva l'arco opposto, sorgeva un
decrepito cilindro senza finestre e con un curioso rigonfiamento circa tre metri e mezzo sopra l'a-
pertura. L'interno era buio e l'arco pareva spalancarsi su un pozzo di illimitata profondità.
Un mucchio di detriti rendeva ancora più facile l'ingresso al grande edificio, ma prima di appro-
fittare dell'agognato accesso esitammo un momento. Benché ormai fossimo nel cuore di quel grovi- [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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