[ Pobierz całość w formacie PDF ]

7
Eravamo in viaggio ormai da una settimana - una settimana durante la quale
avevamo imparato molte cose.
Avevamo iniziato a familiarizzare con i venti che spiravano in quella regione del
mondo. Allontanandoci dalla costa neozelandese, cominciammo a sentire i venti del
sud provenienti dall'Antartico che spesso soffiavano in quel periodo dell'anno e già
stavano imperversando sulla parte meridionale della Nuova Zelanda, rendendo le
acque infide per la navigazione. Eravamo stati informati di forti raffiche, fino a
quaranta nodi, e mari agitati nei pressi dello stretto di Cook, che divideva le due
principali isole dell'arcipelago neozelandese. Ma noi ci stavamo dirigendo a nord,
verso acque più calde, e calcolando che stavamo procedendo a una media di cento
miglia al giorno, se tutto fosse andato bene avremmo raggiunto le Isole Kermadec
entro il 17 marzo, con buon anticipo sul monsone che stava sopraggiungendo da sud.
Questo ci avrebbe permesso di abituarci a Vela Bianca mentre il tempo era mite ed
eravamo ancora non troppo distanti dalla costa e dalle dipendenze della Nuova
Zelanda. Inoltre, grazie alla sofisticata apparecchiatura installata da Roberts, la
guardia costiera poteva essere regolarmente informata della nostra posizione, e questo
ci faceva sentire molto più sicuri, specialmente nei primi giorni del nostro viaggio.
Avevamo scoperto che nel pomeriggio potevamo veleggiare più agevolmente e
speditamente, poiché il vento caldo che solitamente soffiava da ovest si faceva più
fresco e deviava verso nord-est, sospingendo Vela Bianca nella direzione giusta e
risparmiandoci molte manovre per tenere la rotta.
Per questo decidemmo di modificare un po' le nostre abitudini, anticipando il
pranzo in modo che ci restasse tempo per riposare e fossimo pronti per sfruttare al
massimo le condizioni favorevoli del pomeriggio, andando avanti possibilmente fino
a notte inoltrata. Durante la mattinata ci divertivamo a pescare e cucinare, in attesa
che il vento cambiasse. Era facile accorgersene, perché la temperatura si abbassava
notevolmente, dandoci ristoro dal forte sole di mezzogiorno.
Questo semplice cambiamento di ritmi ci fece comprendere che molti degli orari
che avevano scandito le nostre giornate a casa non erano che convenzioni,
consuetudini dettate dalla comodità, e che ora potevamo tranquillamente sostituire
con altre, o eliminare di sana pianta. In città, pranzare alle undici sarebbe stato
inconcepibile. Ma qui non c'erano schemi prestabiliti. Senza accorgercene, avevamo
cominciato a vedere le cose in modo differente, da un'altra prospettiva. Nella libertà e
solitudine in cui eravamo immersi non esistevano regole e tutto era possibile;
avevamo a disposizione il nostro tempo, e potevamo adattarlo alle nostre esigenze,
invece di esserne schiavi - il presupposto essenziale perché avesse luogo un reale
cambiamento.
Un pomeriggio orientammo le vele come al solito. La brezza era debole, quindi
era meglio allentare un po' il fiocco per sfruttarla al massimo. Procedendo per
tentativi ed errori, avevamo cominciato a imparare come dare la giusta tensione alle
vele, tirando o allentando le scotte e le drizze, e con la pratica utilizzavamo i
verricelli con sempre maggiore padronanza.
Ma questa volta, qualcosa andò storto. Avevamo finito di regolare le vele nella
posizione ottimale per sfruttare la brezza, ma all'improvviso una raffica di vento
venne dalla direzione opposta, spezzando il nodo della drizza e facendo ruotare la
randa. Mi gettai fuoribordo per schivarla, e dall'acqua, come al rallentatore, la vidi
arrivare addosso a Gail.
«Gail, attenta!» gridai.
Troppo tardi. Lei fece del suo meglio per schivarla, ma fu inutile. Con un
pesante tonfo, il boma la colpì al braccio.
Risalii a bordo, assicurai la drizza allo strozzascotte e corsi al fianco di mia
moglie.
«Gail, stai bene?»
La vidi trattenere le lacrime a fatica. «Sto bene», mi rassicurò. «Non credo ci sia
niente di rotto.»
«Non muoverti, torno subito.»
Mi precipitai in cabina a prendere la cassetta del pronto soccorso. Sembrava che
tutto fosse lì a portata di mano, tranne quello che cercavo. Rovistai freneticamente
dappertutto, mentre dal ponte mi giungeva il pianto sommesso di Gail. Doveva farle
molto male. Finalmente trovai la cassetta e tornai di corsa da lei. Stava tremando;
evidentemente il dolore e lo spavento si stavano ripercuotendo sui suoi nervi.
Cominciai a tastarle con cautela il braccio per verificare se ci fossero fratture.
«Ti farò un po' male», la avvertii. Lei mi lasciò fare, sopportando
coraggiosamente. Per fortuna non c'erano ossa rotte, ma la parte inferiore del suo
braccio stava diventando di tutti i colori dell'arcobaleno. Le frizionai delicatamente il
braccio con una pomata lenitiva, poi lo fasciai con una benda elastica, e infine lo
immobilizzai con un bendaggio a fionda.
«Ecco fatto», dissi, poi la guardai e le diedi un lieve bacio. «In un paio di giorni
sarai come nuova.»
«Questa non ci voleva», gemette lei. «Non potrò esserti di nessun aiuto. Mi
sento così inutile!» [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

  • zanotowane.pl
  • doc.pisz.pl
  • pdf.pisz.pl
  • absolwenci.keep.pl
  •