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Favus mellis verba composita, con qual metafora più somi-
gliante o significante crederemo potersi esprimere la divi-
na forza delle parole di Cristo che con quella del miele?
Famoso prodigio, dalla auttorità di molti gravissimi istori-
ci approvato, fu quello che la soavità della futura elo-
quenza di tre uomini in diverso genere di dire segnalati ed
illustri, con maraviglioso presagio pronosticò: Pindaro
nella poesia inimitabile, Platone nella filosofia divino,
Ambrogio nella teologia dalla Chiesa santa fra primi dot-
tori annoverato. A costoro tutti e tre avvenne, che mentre
bambini giacevano addormentati in culla, l Api tra le lor
labra aperte i favi del miele edificarono. Strana ed ammi-
rabile per certo, non già però incredibile, quando al divi-
no consentimento che ciò permise si voglia avere riguar-
do. Ma di poco rilievo ne parrà questo miracolo, se alla
miracoosa dolcezza del parlare di Cristo sarà paragonato
da noi: nella cui bocca, non già come di fanciullo, ma co-
me d uomo e Dio, fu non fabricato dalle Pecchie, ma dal-
la somma Sapienza, non incerto argomento di facondia
futura, ma per segno infallibile in tutti i secoli della Eter-
nità, non un fialone di miele, ma un torrente di soavità di-
vina: quam dulcia faucibus meis eloquia tua super mel ori
meo. Felice si stimò Sansone quando dentro le fauci del
Leone estinto ritrovò il miele: onde tuto lieto e festante a
suoi parenti propose quell ingegnoso enimma: De come-
dente exivit cibus et de forti egressa est dulcedo. Or non fu-
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Letteratura italiana Einaudi
Giovanbattista Marino - Dicerie sacre
rono molto più felici coloro a quali fu dato, non dico ri-
trovare, ma gustare quel dolcissimo miele, che dalle labra
del Leone della tribù di Giuda si distillava? Mel et lac sub
lingua tua. Licore non composto de fiori corrottibili di
questo o di quel prato terreno, ma tratto dall eterno giar-
dino del Paradiso, non nettare degl Iddii, come i poeti
cianciano, non sudore delle stelle, come Plinio afferma,
non parte più pura e dilicata della rugiada, come vuole
Aristotele, ma fiore di tutte le perfezzioni celesti, scelta di
tutte le dottrine sante, sostanza della vera divinità. Onde
se il miele è dilettevole al gusto ed a tutto il corpo salubre,
la parola di Cristo è gioconda, profittevole e salutevole a
tutta l anima. Vox tua dulcis est.
Pericle Ateniese di somma forza d eloquenza fu com-
mendato da tutta l antichità, tanto che nelle sue labra
Eupolo poeta comico s indusse a dire che abitasse Pito,
la qual, nelle menti di chiunque l ascoltava, pareva che
lasciasse affisso il pungiglione dell Api. Che cosa si fusse
questa Pito, diversamente da diversi n è stato scritto: vo-
gliono alcuni che questa fusse una Dea, il cui simulacro
per mano di Prassitele fu posto in Tebe dentro il tempio
di Venere: Dea della Persuasione, figliuola della Erudi-
zione e sorella della Verità. Non mancano di coloro che
al numero delle tre Grazie l aggiungono. Altri Suada, al-
tri Suadella l appella. La cui forza cotanto stimata fu da
Temistocle che l agguagliò alla Necessità. Ma dal gran
Prencipe de Latini dicitori Soavità è interpretata, con
cui quel famoso oratore, quasi con musico concento lu-
singando l orecchie, tiranneggiava gli affetti, ed a guisa di
Pecchia legando i sensi col miele della dolcezza, trafigeva
gli animi con lo stimulo della persuasiva. Somigliante for-
za di lingua attribuirono Omero e Claudiano l uno a Ne-
store e ad Ulisse, rassomigliando la soavità della lor par-
latura al sapore del miele e l impeto alla piena delle nevi
disciolte, l altro a Manilio, di dolcezza nel dilettare e
d efficacia nel muovere lodandolo nei suoi versi:
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Letteratura italiana Einaudi
Giovanbattista Marino - Dicerie sacre
tam dulce loquendi
Pondus et attonitas sermo qui duceret auras
Mox undare foro victrix opulentia linguae
Tutarique reos.
Ma che hanno da fare tutte queste eccellenze contra-
poste alla possente armonia del nostro divino Musico?
Vox tua dulcis est.
Le dicerie degli uomini eloquenti, col testimonio del
maestro di cotal arte, altra cosa non sono che canti musi-
cali, il cui concento non solo molce l orecchie, ma gli spi-
riti eziandio diletta e dilettando rapisce: concento mira-
bile, in cui, non men che nella vera musica, le differenze
de tuoni e le consonanze de numeri necessariamente
concorrono. Onde mentre l invenzione alla disposizione
risponde, alla invenzione l elocuzione: l azzione s accor-
da con la memoria e con le cose dette: né il volto dalla
pronunzia, né la pronunzia dagli atti del corpo discorda:
l ingegno del dicitore s accomoda al senso degli ascoltan-
ti, la voce all udito ed il movimento alla vista s adatta col
decoro e col convenevole: e finalmente in tutto il corso
del dire il fine al principio, il mezo all uno ed all altro, il
tutto alle parti e le parti al tutto con bella testura e con
artificiosa connessione si confanno; allora quel concento
ne riesce, che gli uditori prende con la vaghezza e con
l attenzione ritiene. Or qual orazione tanto faconda tutte
in sé queste condizioni raccolse, ch a lato della musica,
ch eziandio ne più domestici ragionamenti, usciva dalla
bocca del Verbo umanato non perdesse d assai? in cui
non una Deità bugiarda e falsa, sorella della Verità, ma la
Verità istessa, non una delle mentite Grazie, ma tutta la
grazia e venustà del Cielo abitava, onde con la simplicità
della natura avanzò tutti i precetti dell arte, mentre a gui-
sa d Ape, armata d ago e condita di miele, ora con le mi-
nacce atterriva, ora con le promesse allettava, ora spa-
ventava gli ostinati, ora affidava i penitenti, ora
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spalancava l inferno, ora apriva il Paradiso, ora fulmina-
va zelante, ora si placava mansueto, ora pasceva col net-
tare, ora feriva con le punture. Né per certo altro che
canto armonico era questo suo parlare: palatum eius dul-
cedinis, dice una Scrittura: ma palatum eius cantica, legge
l Ebreo. E con che bella varietà di tuoni e di mutanze an-
dava egli figurando il suo canto e temperando la voce? or
lunga, multa habeo de nobis loqui; or tronca, si cognovis-
ses et tu; or piena, non veni solvere legem sed adimplere;
or sottile, qui potest capere capiat; or grave, qui vult venire
post me, tollat crucem suam et sequatur me; or leggiera,
iugum meum suave est et onus meum leve; or molle, filioli
mei adhuc modicum tempus vobiscum sum; or dura, gene-
ratio prava et adultera; or alta, ego de supernis sum; or
bassa, obsque parabolis non loquebatur; or aspra, ego va-
do et in peccato vestro moriemini; or pia, venite ad me om-
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